martedì 27 aprile 2010

Camellia japonica


La camelia è un arbusto sempreverde della famiglia delle Theaceae, molto rustico, che può anche raggiungere  anche l'altezza di 10 metri. E' originaria del Giappone, dove, essendo nel suo habitat naturale, può arrivare anche a 15 m di altezza. Fiorisce già dalla fine dell'inverno e nelle zone più temperate i suoi vistosissimi fiori sono osservabili anche in pieno inverno. In Italia era comunemente coltivata fino a qualche decennio fa, anche se ultimamente quest'abitudine giardiniera si è un po' persa. Le numerosissime varietà hanno petali rossi, bianchi o rosa e forme molto varie, da quelli con un unico strato di petali a quelli con strati multipli regolari o irregolari. 
Da un'altra specie del genere Camellia originaria della cina, la C. sinensis, si ottiene il tè: la sue foglie appena germogliate vengono fatte essiccare verdi oppure fermentate ed essiccate successivamente, ottenendo così il tè verde e il tè nero. Le foglie della Camellia sinensis contengono numerose proprietà benefiche alla salute, come tannini, vitamina E e un importante catechina antiossidante l'EGCG (che però viene persa in gran quantità nel tè nero), proprietà che la vedono impiegata in una miriade di prodotti fitocosmetici e non solo.
Anche dalla camelia comune si ricava un olio, dai semi, che soprattutto nelle regioni di origini è sempre stato utilizzato in cucina e come lenitivo della pelle.
[La Camellia sinensis purtroppo da noi non viene comunemente coltivata, dico purtroppo perché ritengo che sia un arbusto di bellezza pari alla C. japonica, con fiori bianchi più piccoli e dal portamento leggermente meno imponente.]
Oggi insieme alla camelia vorrei postare una ricetta con gli stessi colori di quest'arbusto, i Ceci stufati con peperoni e alloro. [E tra l'altro secondo me le foglie di alloro assomigliano molto a quelle della camelia]

Ceci stufati con peperoni e alloro



Per 4 persone:
4 peperoni medi (dei colori che volete)
1 cipolla bianca
300 g di ceci lessati
3 foglie d'alloro
un rametto di timo fresco
la punta del cucchiaino di coriandolo in polvere
la punta del cucchiaino di curry
sale qb
olio extravergine qb

Tagliate i peperoni a cubetti, la cipolla a listarelle e fateli soffriggere in pentola con un po' d'olio, tutti i gusti e le spezie. Quando saranno ben appassiti (circa un quarto d'ora, 20 minuti) aggiungete i ceci, salate e fate cuocere per  altri 15 minuti. Durante la cottura potete aggiungere di tanto in tanto un goccio d'acqua tiepida per far risultare il tutto un po' più sugoso.
Sono buoni come contorno a riso bollito, oppure con verdure verdi al vapore (io ad esempio oggi li ho mangiati con la catalonia) ma anche, ovvio, da soli.

venerdì 23 aprile 2010

Pyrus communis


Il Pero è un albero della famiglia delle Rosaceae che può raggiungere anche i 20 metri di altezza. Generalmente viene coltivato nei frutteti o anche come albero ornamentale per la bellezza dei suoi fiori ed è molto resistente sia al caldo che al freddo, mentre patisce la siccità e predilige ambienti leggermente umidi ma non stagnanti.
Le origini del Pero sono ancora molto discusse, si pensa che sia originario dell'Europa centrale, ma c'è chi sostiene che quest'albero trovi le sue "radici" in Asia. Cosa certa è che ad oggi per il suo sfruttamento è diffuso e comune in tutta la fascia temperata dei continenti. 
Tutte le pere che siamo abituati a vedere al mercato e nei negozi altro non sono se non varietà di quest'umile albero: infatti da sempre sono state selezionate piante e cultivar con frutti di colore, forma, profumo e gusto differenti, ma la base è sempre quella, il Pero comune. Pensate che nel primo secolo d.C. i Romani avevano già 36 varietà di pere! [E qui faccio una mini-polemica, perché negli ultimi decenni purtroppo il vasto panorama delle varietà di frutti si è ristretto moltissimo, in concomitanza del mega sviluppo dell'agricoltura intensiva. Cerchiamo di tenere vive queste differenze comprando frutta di diverse varietà, se no ci ritroveremo a mangiare solo pere Williams e mele Golden!!] Tornando a noi, è molto più difficile invece trovare altre specie del genere Pyrus i cui frutti vengano comunemente commerciati.
Il nome "pyrus" deriva dal latino e significa "piramide": è molto probabile che i latini chiamassero così quest'albero per la forma dei frutti.
Non mi metterò di certo a spiegare i vari usi culinari nei quali è coinvolta la pera: sono troppi!
Invece mi soffermo su di un fatto curioso: l'aroma particolare della pera è dato dall'estere etilico alifatico 2 (E), 4 (Z)-decadienoato (impronunciabile e assolutamente impossibile da ricordare!) e la curiosità sta nel fatto che quest'estere viene, o meglio, veniva estratto per produrre profumi femminili molto dolci. Oggi invece si è trovato il suo analogo sintetico (prodotto in laboratorio, probabilmente derivante da idrocarburi) e viene comunemente impiegato in profumi sia femminili che maschili.


Bene, detto questo passiamo alla ricetta che ovviamente vede implicato il Pyrus communis molto da vicino: il Pane con le pere.

Pane con le pere


Questa è una ricetta veloce e gustosa per aderire alla raccolta Il pane secco non si butta! ideata da Mangia e bevi. Provatela per merenda con il té oppure alla fine di un pasto, magari accompagnata da qualche cucchiaio di crema pasticcera. E' dedicata a tutti gli amanti dello strudel!

Per 4 persone:
5 o 6 fette di pane raffermo tipo pugliese o siciliano (ma non proprio secco)
1 pera abate
3 cucchiaini di uvetta
2 cucchiaini di semi di sesamo
zucchero di canna qb
burro qb
1 cuchiaino di genepy (se non lo avete, whisky).

Mettete in ammollo l'uvetta col genepy.
Prendete 4 stampini da muffin, imburrateli bene e cospargete fondo e lati con abbondante zucchero di canna. Togliete la crosta al pane, ritagliate dei cerchietti e dei rettangoli per foderare il fondo e i lati degli stampini, imburrateli da entrambi i lati e disponeteli negli stampini.
Tagliate la pera a quadratini sottili, scolate l'uvetta e mischiatela alla pera, ai semi di sesamo e a un cucchiaino di zucchero. Accendete il forno a 180 ° ventilato. Riempite ogni stampino con abbondante composto di pere, grattugiatevi sopra la crosta avanzata del pane, una noce di burro e infornate per 25 minuti circa.
Una volta sfornati rovesciateli su di un piatto avendo cura di far staccare bene dai bordi il caramello che si sarà formato.


sabato 17 aprile 2010

Geranium molle


Il Geranio comune è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Graniaceae che cresce nei prati, nei campi incolti, nei coltivi e nei vigneti. E' comune in tutta Italia e inizia a fiorire a Marzo, prolungando la fioritura fino a Settembre. Esistono molte altre specie di geranei spontanei che vivono negli stessi ambienti, il G. molle è riconoscibile per i petali bifidi (cioè aventi due punte arrotondate) e foglie molto pelose e vellutate. 
E' una specie molto diffusa in tutto il mondo ed è conosciuta fin dai tempi antichi: Plinio il Vecchio lo cità già nella sua Naturalis Historia, scritta tra il 30 e il 79 d.C.
Il nome Geranium deriva dall'aspetto dei frutti portanti un becco molto simile a quello delle gru (dal greco geranum=gru), mentre molle si riferisce alla pelosità  e morbidezza delle foglie.
Non è conosciuto nessun particolare uso tradizionale culinario, anche se recenti studi etnobotanici hanno evidenziato l'uso saltuario di questa pianta nelle minestre preparate in Garfagnana.
Invece per quel che riguarda l'uso fitocosmetico e farmaceutico il Geranio possiede un alto contenuto di tannini che lo rendono un buon cicatrizzante, astringente risolvente per la pelle e antiemorragico.
Vorrei far notare che i comuni geranei che si coltivano sui balconi e sui terrazzi non hanno nulla a che vedere con i Geranium veri e propri: quelli coltivati appartengono in realtà al genere dei Pelargonium, piante originarie dell'Africa del Sud e forse il nome comune "geranio" gli è stato attribuito per l'appartenenza alla famiglia delle Geraniaceae.
Oggi vi ho parlato di questa piccola pianta perché ieri ho raccolto le ortiche per la prossima ricetta, i Ravioli di  ortiche con crema di funghi, e negli incolti dove crescono le ortiche è molto facile trovare anche il Geranio comune.

Ravioli di ortiche con crema di funghi


Ieri mi sono decisa finalmente ad andare a raccogliere un po' di ortiche per fare qualcosa di buono...peccato che mentre ero lì che raccoglievo con i miei guantoni da pugile per non pungermi è venuto giù un diluvio universale! Bagnati fino all'osso, io e il mio cane...
Comunque credo ne sia valsa la pena!

Per 40 ravioli circa (3 persone):
Pasta
180 g di farina 0
1 uovo
2 o 3 cucchiai di acqua fredda

Ripieno
350 g di ortiche (se non riuscite a recuperarle usate la stessa quantità di boragine, più facile da reperire)
70 g di pecorino toscano stagionato
1 tuorlo
sale, noce moscata qb

Condimento
30 g di porcini secchi
1 spicchio d'aglio
1 cucchiaio di farina colmo
300 ml di latte
olio extravergine
sale

Pulite le ortiche e fatele lessare per pochi minuti, oppure cuocetele al vapore (io preferisco, rimangono molto più gustose). Scolatele e lasciatele raffreddare.
Nel frattempo impastate sulla spianatoia la farina con l'uovo e l'acqua fino a formare una palla compatta e lucida, ma non troppo dura.
Dopodiché grattate il pecorino in una ciotola, strizzate bene le ortiche, tritatele e unitele al pecorino, aggiungete sale, noce moscata e il tuorlo e formate un composto omogeneo. 
Tirate le sfoglie per i ravioli col mattarello (o con la macchina per la pasta, come preferite, io l'ho tirata col mattarello perché non trovavo la macchina...), disponete il ripieno con un cucchiaino da caffè  e formate dei ravioli di 2 o 3 cm di lato, chiudeteli avendo cura di far uscire bene l'aria schiacciandoli bene ai bordi.
A questo punto preparate la crema di funghi: mettete in ammollo i funghi secchi e poi tritateli grossolanamente; a parte fate una pastella omogenea con latte e farina: fate soffriggere i funghi per 10 minuti con lo spicchio d'aglio (se necessario aggiungete un goccio d'acqua), unite la pastella di latte e farina, salate e fate rapprendere leggermente il tutto per pochi minuti. Se a fine cottura vi sembra troppo densa aggiungete un goccio di latte a temperatura ambiente.
Cuocete i ravioli e conditeli con la crema.
A me sono venuti fuori circa 40 ravioloni, bastano per tre, anche se questi ce li siamo pappati tutti io e il mio ragazzo!! Ecco il frutto della raccolta sotto l'acqua:


venerdì 16 aprile 2010

Anemone nemorosa


Oggi la ricetta è di pesce e quindi posto un fiore che cresce nei luoghi umidi, soprattutto lungo le sponde ombreggiate dei torrenti: l'Anemone bianca.
E' una pianta erbacea perenne della famiglia delle Ranunculaceae, vive, come già citato, nei luoghi umidi e ombrosi, soprattutto lungo i torrenti ma è molto comune anche nei boschi misti di latifoglie dal livello del mare fino a 1500-1600 m. E' comune in tutta l'Italia settentrionale, al Sud si trova principalmente nelle zone montane ed dubbia la sua presenza in Campania, mentre nelle isole è assente.
E' specie protetta solamente in Lombardia.
I suoi bellissimi fiori iniziano a sbocciare a fine Gennaio anche su terreni ancora innevati e la fioritura si prolunga fino alla fine di Maggio. E' una pianta rizomatosa (cioè con un fusto orizzontale sotterraneo in grado di radicare e produrre nuove piante, un po' come le fragole) e quindi, come molte altre specie del sottobosco, crea gruppi estesi molto belli. Esiste un'altra specie di Anemone che cresce negli stessi ambienti dell'Anemone bianca, l'A. trifolia, ma è molto più rara e si distingue per le antere (che sono la parte terminale degli organi riproduttivi maschili contenenti il polline) di colore bianco.
Il nome potrebbe derivare sia dal greco (anemos=vento) per la delicatezza dei fiori, sia dal latino (nemus=bosco) chiaramente per l'ambiente di crescita.
Non sono noti usi culinari o cosmetico-farmaceutici, dato che l'intera pianta contiene protoanemonina, una sostanza che può causare anche gravi irritazioni delle mucose e della pelle.
Curioso come in zone diverse del mondo come la Cina e l'Egitto la pianta rivestisse in passato un significato di malattia e di morte e in Svezia nel Neolitico i fiori di Anemone nemorosa venivano deposti sopra i corpi dei defunti. 
Malattie e defunti a parte, rallegriamo con la prossima ricetta, l'Orata alla menta in crosta di sale.

Orata alla menta in crosta di sale



Per questa ricetta ho rivisitato l'Orata al sale che preparavamo spesso nel chiosco in spiaggia dove ho lavorato l'estate scorsa (Grazie Ale per avermela passata!). E' una ricetta semplice e veloce, e con l'aggiunta della menta acquista un pizzico di freschezza in più.

Per 2 persone:
2 orate di medie dimensioni
1 albume
1/2 kg di sale fino
menta fresca
rosmarino

Pulite le orate, sciacquatele e asciugatele con un panno, riempitele con un rametto di menta e uno di rosmarino.
Accendete il forno a 180° ventilato.
In un piatto piano sbattete l'albume fino a che non diventa schiumoso.
Versate parte del sale in un altro piatto piano fino a coprirne il fondo. Passate le orate nell'albume e poi nel sale, proprio come per una normalissima panatura. Il mio consiglio è quello di cercare di creare una crosta uniforme e spessa circa mezzo centimetro, di modo che le orate si secchino il meno possibile.
A questo punto disponete le orate su carta da forno in una teglia e fate cuocere per 25 minuti, mezz'ora circa. La crosta diventerà dorata. 
Potete servirle con un contorno di patate, peperoni e cipolle rosolate in padella o con una bella insalata fresca.
Vai a Anemone nemorosa

mercoledì 14 aprile 2010

Asparagus acutifolius


Questo in foto in effetti non è proprio un fiore, ma un germoglio di asparago selvatico. Però visto che siamo in stagione e in giro ce n'è un sacco, ve ne parlo parlo lo stesso e quando fiorirà, se lo riesco a beccare, posterò la foto del fiore. E poi sono buonissimi...
L'Asparago selvatico è una pianta perenne della famiglia delle Liliaceae. Lo si può trovare nelle macchia, nei cespuglieti e nelle garighe ben soleggiati e piuttosto aridi ed è piuttosto comune in tutte le regioni che si affacciano sul Mediterraneo; è già più difficile trovarlo in zone montane e lungo l'arco alpino non è presente. Fiorisce da Agosto a Settembre e porta fiori maschili e femminili (è una pianta dioica) piccoli, bianchi e di cattivo odore, in spighe dense (vedrete le foto, sono molto belli). La pianta ha l'aspetto di un piccolo cespuglio cascante e spinoso, date le spine presenti sulla punta delle foglie, e in primavera compaiono i primi germogli, chiamati turioni, che sono la parte commestibile. 
Viste le raccolte indiscrimiate, la specie è protetta in alcune regioni d'Italia e generalmente ne è permessa la raccolta di 1 Kg per volta (che non è poco!). 
In cucina vengono impiegati largamente in tutta Italia per primi piatti, frittate e anche crudi in insalata.
Grazie ai sali di potassio, gli asparagi sono diuretici, contengono un alto quantitativo di Vitamina A e C e recentemente sono state scoperte proprietà protettive del fegato e dei reni.
Non servono molte parole per presentare la ricetta di questa pianta, il classico Risotto con gli asparagi selvatici

Risotto con gli asparagi selvatici


Questo è un semplicissimo risotto con gli asparagi, solo che, fidatevi, gli asparagi selvatici hanno un gusto e un profumo esagerato. Da noi si fa spesso e volentieri in questa stagione, con una spruzzata di grana sopra secondo me è la fine del mondo. 

Per 6 persone:
300 g di riso
300 g di asparagi selvatici
1 cipolla bianca non troppo grossa
vino bianco
sale, pepe qb
olio extravergine qb

Pulite gli asparagi, togliete la parte dura e tagliateli finemente.
Tritate la cipolla e fatela soffriggere con gli asparagi per alcuni minuti.
Aggiungete il riso, fatelo rosolare per pochi istanti e sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco. Dopodiché coprite il riso con acqua bollente, salate, pepate e fate cuocere per 20 minuti circa, mescolando di tanto in tanto e aggiungendo acqua se necessario. 
Vai ad Asparagus acutifolius

Serapias lingua




Molti di voi forse non sanno che in Italia sono presenti moltissime specie di orchidee spontanee, avendo in mente come orchidee quelle spettacolari, grandi e colorate piante tropicali e (da noi) casalinghe: ebbene si, anche noi, soprattutto in prati soleggiati, ma non solo, possiamo avere l'onore di incontrare orchidee spontanee, solo che ovviamente sono molto più piccole e hanno un aspetto diverso da quelle conosciute. Spero di potervene presentare molte altre nel corso del blog. Oggi parliamo della Serapias lingua.
La Serapide lingua è una pianta erbacea perenne della famiglia della Orchidaceae. E' una piccola orchidea che vegeta nei prati aridi e soleggiati e nei cespuglieti dal livello del mare fino a circa 1200 m. E' molto comune al Sud, più rara al Nord e non è presente nell'alta Pianura Padana e nell'arco alpino. Fiorisce da fine Marzo fino ad Agosto e generalmente se si è fortunati e se ne trova una, nelle vicinanze ce ne sarà senz'altro un bel gruppetto.
Viene anche comunemente chiamata Lingua di gallina per l'aspetto e il colore dei fiori e probabilmente il nome "Serapias" è dedicato al dio egizio della fertilità Serapide.
Esistono altre specie di Serapias, la caratteristica distintiva della S. Lingua è la capacità di attrarre insetti impollinatori grazie alla particolare conformazione del labbro inferiore del fiore (labello) e ad alcune sostanze odorose.
Mi è venuto in mente l'abbinamento coi Moscardini con carote e piselli allo zenzero per il colore del fiore e del suo bulbo, molto simile a quello dello zenzero.

Moscardini con carote e piselli allo zenzero


Per 3 persone:
600 g di moscardini freschi
6 carote
200 g di piselli freschi o surgelati
2 scalogni
1 radice di zenzero secca
3 cucchiai d’aceto
1 cucchiaino di zucchero
sale qb
olio extravergine

Sciacquate i moscardini e fateli in acqua bollente per 2 ore. Salate l’acqua solo 10 minuti prima di scolare i moscardini.
Per le verdure, tagliate a rondelle molto sottili le carote e gli scalogni, fateli saltare in padella con olio e sale per qualche minuto, aggiungete i piselli e grattate la radice di zenzero sulle verdure (più o meno dovrebbe essere un cucchiaino colmo di polvere).
Cuocete a fuoco vivo rimescolando spesso e quando le carote inizieranno ad appassirsi per bene bagnate il tutto con l’aceto, nel quale avrete fatto prima sciogliere lo zucchero (se non si scioglie bene scaldate per pochi istanti l'aceto). Fate andare per altri 10 minuti e mettete da parte.
Accompagnate i moscardini bolliti con le verdure saltate, per un tocco di consistenza al piatto aggiungete qualche patata al vapore e una spruzzata di limone.
Vai a Serapias lingua

martedì 13 aprile 2010

Leucojum vernum


Il Campanellino è una pianta erbacea bulbosa perenne della famiglia delle Amaryllidaceae. Fiorisce dalla fine dell'inverno fino a fine Aprile nei boschi freschi e nei luoghi umidi ombrosi, come sponde di stagni e terreni paludosi, da zone collinari fino a 2000 metri. E' una pianta piuttosto comune in Italia settentrionale, lungo la penisola invece va via via rarefacendosi, per mancanza degli ambienti necessari alla sua crescita. Negli ultimi decenni però il suo areale si sta contraendo fortemente anche al Nord, al punto tale che se ne è proposto lo stato di specie minacciata di estinzione. La situazione migliore si ha in Liguria (...modestamente...), dove lo si può trovare con facilità lungo l'Appennino.
[Colgo l'occasione per aprire una parentesi sulla raccolta dei fiori: spesso in passato se ne è fatto abuso, portando alla scomparsa di molte specie anche molto comuni in passato. Purtroppo non è possibile fare in modo che le persone non raccolgano fiori, a mio avviso sta tutto nel buon senso di ognuno di noi: nel caso di specie rare però inviterò sempre chiunque a non farne raccolta ed in ogni caso trovo sia molto più suggestivo osservare i fiori nei loro habitat naturali piuttosto che in vasetti sul tavolo della nostra cucina.]
Dopo questa predicozza torniamo al Leucojum....!
Il Campanellino dove presente crea fitti e vasti gruppi fioriti, spesso sbocciando anche sul manto nevoso con un bellissimo effetto scenico.
Nessuna delle sue parti trova impieghi culinari o fitofarmaceutici, infatti fusto, foglie e bulbo contengono galanthamina e lycorina, alcaloidi tossici se assunti in quantità non controllate che provoca nausea, stati alterati di coscienza e vertigini. Quindi, mi raccomando, non fatevi venire voglia di assaggiarne uno!
Insieme al Campanellino ho postato la ricetta del Polpettone primavernale di cavolfiore, una ricetta ancora invernale ma con slanci e sapori già primaverili.

Polpettone primavernale di cavolfiore

Per 6 persone:

1 cavolfiore
3 patate medie
1 cipolla
250 g di ricotta
4 fette di speck
2 uova
pangrattato
un rametto di rosmarino
origano, sale e pepe qb

Lessate il cavolfiore e le patate. Passatei al passaverdure.
Tagliate le fette di speck a listarelle finissime.
Fate un trito di cipolla e rosmarino e fatelo soffriggere, quindi unitelo alle verdure passate, aggiungete le uova, sale, pepe a piacere, la ricotta e lo speck.
Accendete il forno a 180°.
Aggiustate la consistenza con un po’ di pangrattato, sistemate il composto in una teglia che avrete oliato e cospargete di pangrattato e origano.
Infornate per mezz’ora circa.
Vai a Leucojum vernum

sabato 10 aprile 2010

Rosmarinus officinalis


Il Rosmarino è un arbusto perenne della famiglia delle Labiatae. Allo stato spontaneo lo si può trovare nelle macchie lungo le coste di alcune regioni d'Italia, ma ormai è molto raro ed è comunemente coltivato negli orti e nei giardini. Grazie ai suoi splendidi fiori lilla è utilizzato anche come pianta ornamentale. Oltre ad essere sempre stato usato largamente in cucina, il Rosmarino è considerato fin dai tempi antichi come una pianta ricca di proprietà benefiche: le sue foglie contengono infatti un alto quantitativo di oli essenziali. Vengono impiegate in infusi e decotti tonici e stimolanti, in caso di astenia e di cattiva digestione. Viene utilizzato anche esternamente come cicatrizzante, in pomate contro i geloni ed è un benefico trattamento per i capelli ed il cuoio capelluto, soprattutto per prevenire la caduta dei capelli e l'insorgere di forfora. A base di Rosmarino si preparano anche ottimi liquori e grappe.
Non potevo non abbinare a questo fiore un piatto che lo vede protagonista, il Pollo e porri al rosmarino, appunto: questi ingredienti, a mio avviso, ne esaltano il profumo ed il gusto in una ricetta leggera e veloce.

Pollo e porri al rosmarino


Per 3 persone:
1 petto di pollo
4 o 5 porri (in base alla grandezza)
5 rametti di rosmarino fresco
pangrattato
semi di sesamo (a piacere)
olio extravergine
sale qb

Pulite e tagliate i porri a rondelle di un centimetro.
Tagliate il pollo a cubetti piccoli.
Sistemate il pollo,i porri e il rosmarino in un cestello per la cottura al vapore, mettete il tutto in una pentola con poca acqua, coprite con un coperchio e fate cuocere per 10 minuti.
Nel frattempo accendete il forno a 200° con il grill.
Passati i 10 minuti versate il contenuto del cestello in una teglia non troppo grande, salate, versatevi sopra poco olio, mescolate il tutto e cospargete la superficie di pangrattato e semi di sesamo. Completate con un filo d’olio e infornate finché il pane non sarà dorato e croccante.
Vai a Rosmarinus officinalis

Bellis perennis


La Pratolina è una pianta erbacea perenne della famiglia della Asteraceae che vegeta comunemente dal livello del mare fino a quote non troppo elevate. E' una tra le prime a fiorire dopo i geli invernali e resiste fino a tarda primavera. Grazie ai suoi rizomi (fusti striscianti) nei prati e nei giardini forma dei tappeti fioriti molto belli. In cucina vengono utilizzate le foglie e, a volte, anche i fiori nelle insalate per il loro gusto dolce e lievemente pungente. In fitocosmetica popolare vengono impiegati decotti di fiori e foglie per schiarire e decongestionare la pelle del viso per le sue proprietà astringenti e antinfiammatorie.
Dato che in questo periodo preparo spesso e volentieri la Torta Pasqualina e il nostro prato è coperto di Pratoline...ecco la ricetta giusta per questo questo fiore. 

Torta pasqualina...?



Esiste una diatriba millenaria sulla vera ricetta della Torta Pasqualina: c'è chi mette i carciofi e le bietole, c'è chi mette solo i carciofi e chi solo le bietole. Per non parlare del numero di uova intere che andrebbero messe sotto la sfoglia! Bene, qui di seguito vorrei spiegarvi come la facciamo a casa nostra da sempre. Questa per noi è La Torta Pasqualina.


Per la pasta:
200 g di farina
acqua tiepida
5 cucchiai d’olio
1 cucchiaino di sale
la punta del cucchiaino di bicarbonato


Per il ripieno:
6 carciofi
2 cipolle
5 uova
150 g di ricotta fresca
50 g di parmigiano grattugiato
1 limone
maggiorana
sale qb
pepe qb
olio extravergine

Impastate tutti gli ingredienti per la pasta aggiungendo acqua tiepida fino ad ottenere un impasto abbastanza morbido. Lasciate riposare al caldo per il tempo in cui preparerete il ripieno.
Pulite i carciofi per bene, metteteli a bagno in acqua e succo di limone (attenzione a non lasciare dei noccioli di limone)..(anche su questa storia del limone nei carciofi ci sono dubbi e disaccordi, ma io lo metto sempre, non mi piace farli diventare neri e comunque non leva il gusto). 
Torniamo a noi. Tritate le cipolle finemente, tagliate a fettine sottili i carciofi e fate cuocere il tutto in una padella con olio e sale finché i carciofi non saranno ben cotti.
Sbattete le uova, aggiungete ricotta, parmigiano, sale (poco), pepe e un rametto di maggiorana tritata.
Accendete il forno a 180°.
Dividete la pasta in due palline, una leggermente più grande dell’altra. Tirate col mattarello quella più grande il più sottile possibile e foderate una teglia rotonda. Unite i carciofi al composto di uova ricotta e formaggio e versatelo nella teglia. Tirate la seconda sfoglia e coprite la torta, sigillando bene i bordi. Oliate la superficie della torta e infornate finché i bordi non saranno ben dorati per circa mezz’ora.
Niente uova intere sopra, niente bietole, ma vi assicuro che è ottima!
Vai a Bellis perennis


Con questa ricetta partecipo alla raccolta Nessuno è perfetto, tranne il 3! della Trattoria muvara, raccolta in cui ognuno può postare la sua ricetta "perfetta". E direi che questa è proprio una delle mie preferite! 

giovedì 8 aprile 2010

Taraxacum officinale


Il Tarassaco, comunemente detto Dente di Leone, è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Asteraceae. E' molto comune in tutto il territorio e lo possiamo incontrare nei prati e nei giardini dalla pianura fino a 2000 m. Fiorisce dall'inizio della primavera fino all'autunno inoltrato. Viene anche chiamato Soffione per i suoi semi che, a maturazione completa, sono provvisti di un'appendice piumosa (il pappo) che al minimo accenno di vento li fa librare nell'aria agevolandone la disseminazione.
La pianta è provvista di un latice bianco dal gusto amaro, ricco di sostanze benefiche alla salute (flavonoidi, triterpeni, vitamine B, C ed E, taraxacina): per questo motivo il Dente di Leone è sempre stato largamente impiegato nella medicina popolare come digestivo, diuretico e depurativo. 
Le sue foglie sono ottime in cucina e vengono aggiunte a minestre, per fare frittate, torte salate e in alcune zone della Liguria sono uno degli ingredienti principali del ripieno dei Pansotti.
Il suo fiore giallo è molto vistoso e sfacciato...per questo lo voglio abbinare a una focaccia dal profumo irresistibile e dal gusto forte e particolare: la Focaccia con le cipolle.

Pane per i nostri Denti: la Focaccia con le cipolle


Questa ricetta arriva direttamente da un amico panettiere che mi ha regalato preziosi consigli per fare una focaccia alle cipolle molto simile a quella che mi fa venire l'acquolina in bocca ogni volta che passo davanti a una panetteria. Seguitela e vedrete i risultati!

Per la pasta:
200 g di farina di manitoba
300 g di farina 0
2 patate piccole
un quarto di cubetto di lievito
1 cucchiaino scarso di zucchero
1/2 bicchiere di olio extravergine d’oliva
acqua calda
sale qb

Per la farcitura:
1 cipolla
sale qb
olio

Fate bollire le patate sbucciate intere.
Nel frattempo sul piano per impastare formate la fontana con le due farine e qualche spruzzata di sale.
Quando le patate saranno cotte (fate attenzione a non farle diventare troppo molle!) schiacciatele al passaverdure nel buco della fontana, aggiungete il lievito sciolto in mezzo bicchiere d’acqua tiepida con lo zucchero e iniziate a impastare.
Aggiungete mano a mano acqua tiepida fino a formare un impasto compatto ma morbido, che lascerete lievitare coperto da almeno due canovacci per due ore e mezza.
Affettate finemente le cipolle, lasciatele a bagno per un po’.
Mezz’ora prima di infornare le focacce accendete il forno a 250°.
Trascorso il tempo di lievitazione, oliate una teglia rettangolare abbastanza grossa (io uso quella del forno) e disponetevi la pasta. Prendete una ciotola e riempitela d’acqua tiepida, bagnatevi le mani e stendete la pasta formando dei buchi con le dita e spruzzandovi sopra un bel po’ d’acqua (questo è un passaggio molto importante).
Spargete le cipolle sulla pasta, salate e irrorate d’olio.
Infornate la focaccia per mezz’ora circa, finché non sarà ben dorata ai bordi.
Se la cipolla tende a bruciarsi potete coprirla con un foglio di carta da forno o di alluminio. Una volta sfornata, anche se vi sembra ancora umida o troppo unta non preoccupatevi, lasciatela riposare per una mezz'ora e sarà perfetta.
Vai a Taraxacum officinale

venerdì 2 aprile 2010

Viola riviniana


La Viola riviniana è una pianta perenne della famiglia delle Violaceae. E' una delle classiche viole che fioriscono ai primi tepori primaverili. Si differenzia dalle altre per il colore più chiaro, non è profumata e i fiori sono più grossi e aperti.
Cresce nei luoghi piuttosto umidi e ombrosi, la pianta madre con i fusti striscianti (stoloni) radica nelle vicinanze e dà vita a nuove piantine: si formano così densi cuscinetti fioriti.
Con la Trota salmonata al pepe verde e ai funghi perché il suo fiore è un po' altezzoso e sofisticato, come il sapore fresco, pungente e aromatico del pepe verde di questo piatto.

Trota salmonata al pepe verde e funghi champignon

















Per 2 persone:
1 trota salmonata da 700 g circa

300 g di funghi champignon
2 cipollotti
1 spicchio d’aglio
1 cucchiaino di pepe verde in salamoia
2 foglie di alloro
1 rametto di timo
sale
Sfilettate la trota in modo da ottenere due tranci più o meno uguali, levando testa e lisca e sciacquatela sotto acqua corrente.
Pulite i funghi ed affettateli, fateli cuocere in una padella con lo spicchio d’aglio e un pizzico di sale, fino a che non avranno dato tutta l’acqua.
Intanto tagliate i cipollotti, sistemateli in un tegame abbastanza lungo da contenere i due filetti di trota, adagiate questi ultimi sui cipollotti, salate, cospargeteli di pepe verde, alloro a pezzetti e timo e fateli rosolare qualche minuto a fuoco lento, senza girarli mai. Se volete aggiungete un po’ d’olio, io non ne metto perché la trota è un pesce molto grasso e rilascia da sé il condimento senza rimanere secca.
Dopodiché, spargete i funghi sui tranci e infornate per 20 minuti a 200°.
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