martedì 23 novembre 2010

Arbutus unedo, il frutto dell'autunno


Buongiorno a tutti, oggi dopo tanto finalmente ha smesso di piovere e potrò andare a raccogliere un po' di corbezzoli. Arbutus unedo, appunto, l'albero che fiorisce e ha i frutti contemporaneamente.
Non apprezzati da tutti, trovo che il significato del suo nome generico, "Arbutus", che significa arbusto amaro, non renda giustizia al gusto delicato dei suoi frutti, che sono leggermente amari, è vero, ma che se ben maturi hanno una dolcezza strepitosa. Ed anche il nome della specie "unedo", cioè "ne mangio solo uno" in latino, non si confà proprio con la mia abitudine di mangiarne un sacco, altro che uno solo!


Ma tornando alla pianta, il corbezzolo è un arbusto sempreverde della famiglia delle Ericaceae tipico della macchia mediterranea. La sua particolarità sta nella presenza contemporanea sui suoi rami di fiori e frutti: infatti, i frutti impiegano esattamente un anno a maturare, e quindi quando l'anno successivo si ha la loro completa maturazione, i nuovi fiori si preparano a dare i frutti per l'anno successivo.


Si narra che il Corbezzolo sia una pianta che protegge dalle streghe di San Giovanni. Un antica leggenda vuole che Proca, l'erede al trono di Alba Longa, ancora nella culla fu assalito dalle Strigi, donne malvagie trasformate in uccellacci con becchi rapaci e artigli ad uncino. Il bimbo era morente, così la sua nutrice evocò Carna, la ninfa protettrice degli usci, che battendo tre volte un ramo di Corbezzolo sulla porta e dando in pasto alle Strigi viscere di scrofa, riuscì ad allontanarle e a salvare il piccolo.


Oltre a questa virtù "magica", il Corbezzolo possiede proprietà antisettiche, astringenti e diuretiche. Quindi, mi raccomando, mangiatene più di uno, che vi fanno bene!
E adesso passiamo alla ricetta, che come questi frutti ha bisogno di una preparazione davvero moooolto lunga, ma vi assicuro, ne vale la pena: il pane di semola integrale.

Pane di semola integrale

Lo so, la preparazione di questo pane è davvero lunghissima e se non si ha a disposizione tutto il pomeriggio non se ne fa niente. Ma in questo periodo, con il tepore della stufa e l'inverno alle porte strarsene in casa a preparare questo pane fragrante è davvero un lusso. [In realtà, cari miei, è tutta una scusa per non ricordarmi ogni momento che per ora, haimè! sono disoccupoata!]
Comunque, potete farlo tranquillamente nella macchina del pane, ma secondo me non otterrete mai lo stesso risultato ;)


Per 2 pagnotte e una cassetta:
500 g di farina 0 (più quella per la spianatoia)
500 g di semola
500 g di farina integrale
20 g di lievito di birra
200 ml di latte
sale

Setacciate le farine sulla spianatoia, salate abbondantemente e fate la fontana. Fate intiepidire il latte, versatelo nel buco della fontana e scioglietevi all’interno il lievito con un pizzico di zucchero. Iniziate ad impastare aggiungendo man mano acqua ben tiepida fino ad ottenere un impasto soffice e piuttosto asciutto. Impastate per almeno altri 10 minuti, lavorando bene la pasta.


Coprite con dei canovacci tiepidi e lasciate lievitare per 2 ore.
Trascorso il tempo di lievitazione, riprendete l’impasto e lavoratelo per 10 minuti circa. Coprite nuovamente la pasta e fate riposare per altre 2 ore.
Dopo le 2 ore di lievitazione, sgonfiate la pasta con il pugno, date la forma che più vi piace al vostro pane e disponete le pagnotte sulla placca del forno rivestita con carta da forno: infornate a 50°C per mezz’ora circa e alzate la temperatura del forno a 245°C solo quando le forme vi sembreranno ben lievitate e gonfie. Fate cuocere per ¾ d’ora circa a 245°C e una volta sfornate lasciate le pagnotte a raffreddarsi su di una griglia rialzata [io ho usato quella della forno].


Questo tipo di pane è buono anche due giorni dopo la preparazione e se ve ne avanza molto potete farlo a pezzi e metterlo nel congelatore, in modo da averne a disposizione le giuste porzioni ogni volta che volete.


Vai ad Arbutus unedo.

martedì 9 novembre 2010

Crocus, dell'amore e del desiderio

[Crocus vernus]

Il genere Corcus appartiene alla famiglia delle Iridaceae, sono tutte piante erbacee perenni e bulbose che crescono in prevalenza nei prati dal piano collinare a quello alpino dalla primavera all'autunno inoltrato. Forse non tutti sanno che esiste una specie di Corcus che fiorisce proprio in autunno...molti di voi si immaginano questo fiore come uno dei primi a fiorire in primavera. E invece no, Crocus ligusticus abbellisce i prati collinari e montani ormai secchi con i sui petali violacei e i sui lunghi stimmi arancioni.

[Crocus ligusticus]

Il nome "Crocus" deriva dal greco Kroke, ovvero filamento, per gli stimmi filamentosi che porta al centro della corolla. Secondo un mito greco tali filamenti simboleggiano un legame d'amore tra la ninfa Smilax e il giovane Krokos, un amore destinato a finire con la morte del giovane. Si narra che gli dei, impietositi, trasformarono la ninfa in salsapariglia e il giovane in croco, per far sì che i due potessero vivere uno accanto all'altro. Per questo mito gli antichi Greci usavano porre sulle tombe degli amanti morti per amore un fiore di Crocus.

[i filamenti di Crocus vernus]

Oltre ad essere simbolo dell'amore impossibile e del desiderio, i crochi sono conosciuti e rinomati per lo zafferano, polvere color ocra che si ricava dai filamenti secchi di Crocus sativus. Un tempo questa specie era molto diffusa in Abruzzo e lo zafferano abruzzese era considerato uno tra i più pregiati [...qualche abruzzese conferma...?]. Lo zafferano, oltre ad essere ottimo nella preparazione di molti piatti, era spesso utilizzato come antispasmodico, emmenagogo e nel Rinascimento le dame lo adoperavano per conferire alle loro chiome particolari tonalità biondo rame.

[Crocus versicolor]

Oggi insieme a questo bellissimo e buonissimo fiore ho postato una crema di zucca e cannellini allo zafferano, dal colore dorato e dal gusto molto fine.

Crema di zucca e cannellini allo zafferano

Questa è una crema leggera adatta all'arrivo dei primi freddi, vi consiglio di provarla accompagnata da crostini di pane integrale leggermente oliati e, se vi piace, strofinati con uno spicchio d'aglio.



Per 4 persone:
500 g di zucca gialla di Chioggia (o di Mantova, basta che sia a pasta fine e soda)
200 g di fagioli cannellini lessi
100 g di zucchetta verde (o di zucchine)
2 carote
1 cipolla
1 bustina di zafferano
sale
pepe
olio extravergine

Tagliate la zucca, la zucchetta e le carote a cubetti, lasciando la zucca leggermente più grossa delle altre verdure. Tritate la cipolla e disponete le verdure in una pentola, coprite d’acqua, portate ad ebollizione e lasciate cuocere per ¾ d’ora circa a fuoco lento. Il livello dell’acqua inizialmente deve superare le verdure di circa 2 dita.
Trascorso il tempo di ebollizione salate, unite i fagioli cannellini e lo zafferano alla zuppa, fate cuocere altri 5 minuti, dopodiché passate al passaverdura o frullate il tutto. Dovrete ottenere una crema molto densa ed omogenea. Se vi sembra ancora troppo liquida fate cuocere per un’altro quarto d’ora.
Versate nelle ciotole, condite con un filo d’olio e con una bella spruzzata di pepe.
Per ottenere una crema molto “cremosa” è importante utilizzare un tipo di zucca a pasta fine e soda come quelle che vi ho consigliato. Io ho usato la zucca di Ciogghia, quella con la buccia verde-grigia, che ben si presta alla preparazione di creme, vellutate e gnocchi.


Con questa ricetta partecipo al contest Minestre e Zuppe di Lucy del blog Ti cucino così e alla raccolta Ricette con la zucca di Rebecca del blog Non tollero il lattosio.

martedì 2 novembre 2010

Dryas octopetala



Il freddo si avvicina sempre più  e io ne sono molto felice (a dispetto di molti amanti del caldo estivo ^-^). Qualche settimana fa sulle montagne attorno a Cogne mi è capitato di incontrare una piante davvero bellissima e particolare che suggerisce sempre immagini di ghiacci e nevi perenni, Dryas octopetala, ovvero il Camedrio alpino. 



Questa piccola pianta suffruticosa fa parte della famiglia delle Rosaceae e si trova generalmente solo sui rilievi alpini e sulle cime più alte dell'Appennino da circa 1500 a 2500 m sul livello del mare. Vive su ghiaie e pietraie alla base di pareti rocciose verticali ed è possibile osservare le sue splendide fioriture bianche da Giugno ad Agosto, ma in alcune gole riparate ed esposte a Sud i suoi fiori possono resistere molto bene anche fino a metà Settembre. 
La sua particolarità sta nel fatto di essere un "relitto glaciale", cioè una di quelle specie che sono riuscite a sopravvivere alle ultime glaciazioni grazie a lentissime migrazioni verso Sud, sui rilievi che ai tempi del Quaternario (circa 2 milioni di anni or sono) non erano coperti dai ghiacci e dalle nevi perenni: è per questo motivo che oggi la possiamo trovare esclusivamente nelle zone artiche e sui rilievi alpini.
Passando al suo nome, "Dryas" sta ad indicare la particolare conformazione delle foglie, molto simili a quelle delle quercie, che in latino venivano chiamate appunto "drys". Ma come al solito possiamo trovare una versione alternativa all'etimologia del nome generico: infatti si pensa che Linneo, nel nominare questo genere di piante, si rifece alle Driadi, antiche divinità delle foreste ritenute immortali dai greci. [Trovo che la seconda versione sia molto più intrigante ed avvincente]. Il nome della specie invece, "octopetala", sta semplicemente ad indicare il numero di petali di cui è formata la corolla [8, ovviamente...].


Non sono riuscita a trovare informazioni su vari usi fitocosmetici o medicinali, ma presumo che, essendo una specie piuttosto  rara e poco conosciuta, non ve ne siano molti se non addirittura nessuno.
Ora vi lascio a una ricetta per l'arrivo del freddo [speriamo non così freddo come le ultime glaciazioni!], pollo e patate al forno, e vi lascio con un'immagine del Vallone di Grauson, dove ho incontrato questa bellissima pianta "glaciale".

Pollo e patate al forno


Eccomi di nuovo con un secondo veloce e buonissimo, questa volta però con pollo e patate, ideale per una cena leggera ma sfiziosa. 

Per 2 persone:
1 petto di pollo da 400 g circa
5 patate non molto grandi
2 cipolle di tropea 
1 spicchio d'aglio
2 rametti di rosmarino
sale e pepe
olio extravergine
1 cucchiaio di senape

Tagliate il pollo e le patate a cubetti, affettate finemente le cipolle e l'aglio e disponete il tutto in un tegame.
Irrorate d'olio (ma senza esagerare), salate, pepate e sminuzzatevi sopra il rosmarino. Rimescolate il tutto molto bene aggiungendo alla fine la senape e infornate per circa 30 minuti a 200° C.


Ottimo come piatto unico o come secondo a una zuppa leggera.